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È ormai sotto gli occhi di tutti che la scuola, come il lavoro e la sanità, ha subito un cambiamento lento e costante da trent’anni a oggi. Questi tre settori sono i pilastri di ogni sta-to sociale e, per questo motivo, è diventato interesse dei go-verni – nazionali ed europei – pervertirne la sostanza e la finalità: lo scopo è quello di renderli meno costosi, per in-contrare le logiche del liberto mercato e della privatizzazione e, quindi, ridurre le spese che dovrebbero, se non migliorarli, almeno mantenerli ad un livello accettabile e dignitoso per il benessere spirituale e materiale dei cittadini. Come prescrive anche la Costituzione italiana.

E tuttavia da trent’anni a oggi nessuno ha saputo né potuto opporsi alla deriva neoliberista che ha puntato lo sguardo anche sulla scuola. In effetti è la scuola che forma i lavora-tori e i cittadini che avrebbero il compito di mantenere libero e democratico uno stato moderno. Ma chi ha messo le mani sulla scuola, sa di poter contare su una potentissima forma di controllo e condizionamento della cultura, delle coscienze e, direbbe Foucault, dei corpi.

Nonostante tutto, l’interesse della pubblica opinione per la scuola non è abbastanza ampio da prevedere mobilitazioni anche da parte di chi ha concluso la sua frequentazione di-retta (studenti) o indiretta (genitori).

Rimane la categoria degli insegnanti che appare, nel suo complesso, non abbastanza motivata a una protesta decisa e partecipata contro una lunga serie di provvedimenti autori-tari. Infatti non si nota quasi nessuna reazione strutturata come necessaria e ineluttabile risposta al PNRR, la sigla che ricorda per metà le fusa di un gatto e per metà una pernacchia: il piano che con mosse lente, accorte e accattivanti (per i felini) rivela in realtà la sua natura di sberleffo alla dignità e all’intelligenza di cittadini e lavoratori.

Per esempio, da una parte il ministro Bianchi invita in maniera patetica (nel senso di ricca di pathos) gli studenti (si badi bene: non insegnanti, sindacati o parti sociali) ad aiutarlo a cambiare la scuola ma in termini affettuosi (sic!) partecipando alla riforma con un grande movimento (…) perché abbiamo bisogno di lasciare ai ragazzi che vengono dopo di voi una scuola migliore, credo che sarebbe un grande lavoro che potreste fare. Così si esprime il ministro.

Il patetico appello avviene contemporaneamente all’ultimo dei provvedimenti autoritari – naturalmente giustificati e consacrati dall’urgenza per la ripresa e resilienza : è il DL n. 36 del 30 aprile 2022 che riguarda la pubblica amministrazione, l’università e la ricerca.

In effetti, spesso ci si dimentica, o non si parla con la dovuta profondità, anche degli studenti universitari e dei loro per-corsi, e della situazione in cui versano i ricercatori italiani in confronto ai loro colleghi europei, in termini di carriera e retribuzione.
Grossi rospi ci fa inghiottire il governo dei migliori, con la scusa della resilienza che ci rende (o dovrebbe renderci) cittadini virtuosi e appagati della nostra virtù.

Ora arriva un nuovo decreto-legge, con un sottotitolo che ormai è un ritornello: ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che riguardano – per la scuola – la formazione iniziale, il reclutamento e la formazione continua dei docenti. Meccanismi che sono già stati definiti inefficaci e autoritari perché calano dall’alto senza confronto con i sindacati e alimentano il mercato dei Crediti Formativi Universitari, aumentano l’incidenza del nozionismo nella preparazione del futuro docente, introducono un sistema formativo individualistico, privo di funzioni collegiali o collettive, contrariamente a quanto previsto dalle precedenti normative.

La formazione iniziale prevede che gli enti pubblici non saranno in grado di erogare i 60 CFU necessari, e quindi la formazione sarà affidata a enti privati: la logica è che l’accumulo di titoli prevalga sulla qualità della riflessione e della ricerca sperimentale. Il DL avverte anche che le spese che porteranno all’abilitazione saranno a carico dei partecipanti.
Il reclutamento ha già dimostrato le sue criticità con l’ultimo concorso: secondo presidi e sindacati, le cinquanta domande a risposta multipla si sono rivelate troppo nozionistiche e mal formulate, tanto che la maggior parte dei candidati – pur con anni di servizio alle spalle – non hanno superato la prova scritta che è stata giudica inutile e dequalificante.
La formazione continua prevede percorsi triennali e individuali, fuori dall’orario di servizio, presso la Scuola di Alta formazione, che avrà come presidenti INVALSI e INDIRE per il controllo qualità e, come incentivo, il ricatto della premialità riservata soltanto al 40% dei partecipanti, ovvero solo a coloro che si sottoporranno a verifiche intermedie e finali secondo indicatori di performance.
Ma è nella parte finale del DL che arriva il colpo di genio: tutto il sistema retributivo dei premi e degli incentivi a fare da cavia per Invalsi e Indire sarà finanziato riducendo il bonus docenti e sfruttando il calo demografico per diminuire l’organico con il taglio di circa 10 mila cattedre.

E non basta. Sarà un caso, ma il tutto è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 1° maggio 2022, nonostante le reazioni sindacali e di categoria e alcuni scioperi. Nel medesimo giorno in cui si festeggia il lavoro, la scuola italiana – con i suoi lavoratori della cultura, personale non docente, studenti e genitori – viene spinta ancora una volta verso quel sistema aziendalistico neoliberista ormai divenuto inarrestabile, co-me inarrestabili sono le decisioni e le scelte dei governi, nel-le quali i cittadini non hanno più la possibilità di incidere. Oppure non vogliono incidere: molte sono le critiche per quei docenti che continuano a prestare – se non a regalare – il proprio lavoro nelle attività aggiuntive e non retribuite, trasformando quella che dovrebbe essere una professione in una missione. In nome della resilienza.

Roberto Calogiuri

[Foto Public Domain Pictures]


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