Lagarde e Draghi Il Lavoratore 1895
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Nel 1992 – mentre si firmava il trattato di Maastricht – Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia, criticava la società italiana come uno stato in cui gli “istinti animali” prevalgono sulla responsabilità collettiva. (*)

Se è vero che l’istinto animale comprende anche l’impulso alla sopravvivenza, si capisce come – a esempio – non esiste uomo politico italiano, scelto dalla società italiana per rappresentarlo in ruoli istituzionali, che non abbia prima o poi stretto la mano a Vladimir Putin. Dal Papa, a Renzi, Berlusconi, Prodi, Conte, Di Maio, Letta etc. etc.

Questi baci, abbracci e strette di mano – seguiti da biasimi, riprovazioni e vituperi – suggeriscono l’idea di come certa politica non sia più al servizio della collettività ma si metta al servizio di altre istanze, istanze dettate dalle congiunture sovranazionali del momento.

Nella fattispecie, Carli espresse una teoria che spiega perché, dal secondo dopoguerra a noi, i partiti abbiano prodotto governi che, al di là dei diversi colori e matrici, hanno tutti perseguito i medesimi fini. A costo, talvolta, di creare sorprendenti miscugli, o rigiramenti di gabbana, che dovrebbero essere presi in considerazione da chi si lamenta dell’astensionismo e se ne domanda il perché.

Si parla spesso del “partito dell’astensionismo” come il primo partito italiano, come una iattura di cui incolpare l’ignavia dell’elettorato, invece di guardare alla propria coerenza. E questo vale, ovviamente, per coloro che siedono in Parlamento.

Invece, quando (e se…) l’elettore va a votare, non (sempre) considera che chi siede in Parlamento – se vuole essere rieletto – deve e dovrà obbedire a quanto Guido Carli aveva individuato nel suo libro: vale a dire che esiste un sistema di principi sovraordinato che obbedisce alle leggi dell’economia più che alla politica, a norme prevalenti e stringenti, non negoziabili,  ovvero il partito del vincolo esterno di cui sono parte solidale e subordinata tutti i partiti che finora hanno retto la politica italiana. E lo hanno fatto spingendola verso l’atlantismo, l’europeismo e la guerra, le privatizzazioni e la depressione dei servi pubblici come sanità e scuola, le riforme anticostituzionali e antioperaie, la compressione del mondo del lavoro e della scuola.

Corteo Wärtsilä – Trieste 3/9/22 – Foto di Massimiliano Pretto

Non è un mistero che la politica economica italiana sia stata fallimentare per quanto riguarda la strategia industriale, sia scivolata verso liberismo e privatizzazione e abbia aderito a un’economia di mercato. Il caso Wärtsilä di Trieste ne è un esempio.

Secondo Carli, la spiegazione di questo spostamento sta nel fatto che l’Italia non fu animata da uno spirito liberista e quindi le istituzioni internazionali ritennero indispensabile vincolarla al rispetto dei parametri dettati dalle istituzioni europee, vincolo accettato da chi ha creato le leggi di delegazione europea fin dal 1989.

Il risultato è che i partiti che aspirano a mantenere la rappresentanza in Parlamento (e quindi il potere) – riconoscibili dall’avere sempre adottato provvedimenti a favore di se stessi – aderiscono alle politiche economiche europee, quelle medesime politiche che vincolano l’Italia ai meccanismi economici europei per evitare lo spettro della crisi economica devastante e irreversibile.

Quindi lo scenario peggiore che ci si possa aspettare è che dalle urne esca vittorioso il solito partito che professa il voto utile, ovvero il ristagno ideologico politico economico. Oppure che vinca la destra.

Come interrompere questo circolo vizioso?

Come evitare che il vincolo esterno si saldi con l’agenda Draghi e ancora una volta le elezioni portino a un utile nulla di fatto?

“Chiunque vincerà le elezioni sarà costretto a seguire alla lettera i dettami della Bce” scrive il quotidiano economico Wall Street Italia. E, dall’altra parte dell’Atlantico, Moody’s ha già preparato il terreno portando il rating dell’Italia da “stabile” a “negativo”. E, guarda caso, esattamente due settimane dopo le dimissioni di Draghi che, essendo le dimissioni del migliore, naturalmente “aumentano l’incertezza politica”.

Né poteva essere diversamente, visto che queste dimissioni segnano e allargano la frattura tra classe politica e classe dirigente economica, ovvero tra interventismo statale e libero mercato. Il rimedio a questa frattura si vuole sia una sempre maggiore integrazione dell’Italia nell’Europa. Il che riporta al problema iniziale: il vincolo esterno.

Ecco quindi da dove nasce la difficoltà a votare i partiti che da anni si spartiscono la scena politica, i voti e i seggi in Parlamento. E da dove nasce la favola del voto utile.

Senza considerare gli avvenimenti degli anni ’80 e ’90, si dovrebbe guardare a quanto ci prepara la configurazione geo-politica recentissima, incluse guerra, crisi climatica e crisi energetica, immigrazione, recessione, aumento dei prezzi, povertà.

Con il TPI (Transmission Protection Instrument) il consiglio direttivo della BCE si riserva di imporre l’orientamento della politica monetaria a tutti gli stati europei. Vale a dire che potranno usufruire della protezione dai disordini del mercato solo gli stati che saranno in regola con le raccomandazioni fissate dal consiglio direttivo e, ancora lui, con gli impegni del PNRR.

Il panorama non cambia. Semmai peggiora.

Ci si muove sempre nello spazio delimitato dalla BCE e dalla NATO, tra le politiche monetarie coercitive di Bruxelles e le mire aggressive dell’asse atlantico.

E non se ne potrà uscire se i prossimi governi non si allontaneranno da queste linee. Se non si opporrà un netto NO a questi disegni oppressivi e votare per proteggere e valorizzare il lavoro e i lavoratori, una giustizia equa, un nuovo modello industriale, l’ambiente e l’agricoltura, la pace, la democrazia e la costituzione, la riconversione ecologica, la sanità, la pubblica amministrazione, l’istruzione e la ricerca. E votare tutto ciò che favorisca la giustizia sociale, economica e ambientale contro gli interessi sempre più aggressivi e inarrestabili del capitale e del libero mercato.

Votare Unione Popolare.

 

(*)G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 5-7

Roberto Calogiuri

[Foto su licenza Wikimedia Commons e Creative Commons]


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