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Lo sapevamo già, di essere controllati. In cambio di telepass, carte di credito, tessere fedeltà, cellulari, internet e social network, abbiamo barattato idee, gusti e desideri con i servizi delle Big Tech, le multinazionali occidentali dell’informatica, meglio note per essere invasori (della privacy), evasori (delle tasse) e devastatori (di posti di lavoro).

E ora, il virus e l’emergenza sociale hanno aggiunto una gabbia di norme e pratiche di sorveglianza fisica e digitale che ci costringono a un interrogativo altrettanto urgente: se questo controllo sia reversibile e compatibile con i diritti della persona anche in situazioni eccezionali come quella presente, in cui – come recita la legge fin dai tempi dei romani – necessitas non habet legem sed ipsa sibi facit legem. Sentenza che innalza il principio di necessità a norma imprescindibile per fronteggiare un evento eccezionale, prevista anche nell’articolo 3 del Codice della Privacy.

La metaforica emozionale della guerra contro il nemico mortale, subdolo e invisibile e le citazioni sulla combattività eroica di Winston Churchill completano un quadro in cui, se non si osservano i dettati del governo, si rischia di passare per nemico pubblico. E se non si seguono le vie della comunicazione telematica prescritte dai ministeri – per il lavoro, istruzione inclusa – si passa per ignoranti digitali e obsoleti retrogradi.

Edward Snowden, l’ex informatico della CIA ora rifugiato in Russia, ha dimostrato che la sorveglianza di massa e l’intrusione nei dettagli più riservati delle persone è un’operazione consueta e imprescindibile per un sistema di governo autoritario che voglia garantirsi inattaccabilità e stabilità. Lo scandalo che ha travolto Cambridge Analytica e Facebook dimostra che il commercio e il dominio dei dati personali può condizionare e dirigere le campagne elettorali e le scelte politiche. Proprio per evitare la manipolazione del consenso, la legge stabilisce che non si possano raccogliere informazioni senza l’accordo dei proprietari.

Eppure il comune di Roma ha attivato sul proprio sito un sistema segnalazione in cui chiunque può denunciare gli assembramenti. Per lo stesso motivo vi sono posti di blocco, elicotteri e droni in cerca di trasgressori, la proposta di attivare la geolocalizzazione per chi sia obbligato alla quarantena o per ricostruire la catena del contagio. Perciò l’Ente Nazionale Aviazione civile (ENAC) ha ampliato l’utilizzo di droni per le attività di monitoraggio dei cittadini fino a 25 chili di peso: per “garantire il contenimento dell’emergenza epidemiologica coronavirus”.

Sono tutte misure che generano in ognuno la preoccupazione, o l’ansia, di essere costantemente controllati.

A ciò si aggiungono il confinamento nelle proprie case, i divieti e restrizioni di movimento, le regole di distanza sociale, le denunce alle autorità, la tracciabilità dei cellulari e la sorveglianza digitale. Potranno anche essere richiesti dall’eccezionalità storica della situazione, ma l’interrogativo rimane: le cose torneranno come prima? Una volta avviata la sorveglianza digitale, il governo farà marcia indietro quando l’emergenza sarà terminata? Rinuncerà al potere conferito dalla conoscenza e dal controllo delle persone che Edward Snowden ha denunciato nella sua inimmaginabile e onnipervasiva portata? La storia dice di no.

A esempio, il primo ministro ungherese Viktor Orban si è attribuito pieni poteri col pretesto di combattere l’epidemia in modo più efficace. Li deporrà alla fine dell’emergenza?  Orban non ha definito un termine temporale dello stato di urgenza, come invece accade in altre nazioni europee.

In Francia lo “stato d’urgenza” votato recentemente dal parlamento ha una durata limitata a due mesi. Nel Regno Unito i poteri eccezionali concessi al governo avranno una valenza massima di due anni e dovranno essere rinnovati dalla Camera dei comuni ogni sei mesi. In Italia una delibera del Consiglio dei ministri prevede lo stato di emergenza per sei mesi a decorrere dal 1 febbraio 2020.

Tuttavia, il rischio è che possa ripetersi quanto già accaduto in passato: ovvero che un governo che abbia acquisito tali prerogative tramite il principio di necessità e che abbia messo in atto uno stato di sorveglianza prolungato e pervasivo, sperimentandone gli effetti positivi per la propria autoconservazione, difficilmente vi rinunci anche dopo il ritorno alla normalità.

“Il potere è conoscenza”, sostiene il cardinale Angelo Voiello, segretario di Stato della Santa Sede e personaggio del “ Giovane papa” di Sorrentino. E infatti – dice Michel Foucault nel suo saggio “Sorvegliare e punire” del 1975 – il meccanismo del controllo è semplice, sempre il medesimo e inesorabile: “Nel campo perfetto, tutto il potere viene esercitato col solo gioco di una sorveglianza precisa, e ogni sguardo sarà una tessera nel funzionamento globale del potere”. Intanto la ministra dell’Interno avvisa i prefetti di “monitorare” il “disagio sociale ed economico” per il rischio di “focolai di espressione estremistica” dovuti alla crisi sociale innescata dalla pandemia, accostandoli ai “rischi di condizionamento mafioso”.

Roberto Calogiuri

[Foto Clément Bucco-Lechat, su licenza Creative Commons]


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