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Tutto iniziò vent’anni fa, con i governi di centrosinistra che confezionarono una riforma del titolo V della Costituzione, sui rapporti tra lo stato e le autonomie locali nel legiferare su una pluralità di materie.

Una riforma scritta male che passò in Parlamento con una maggioranza inferiore ai 2/3 e fu approvata da un referendum popolare confermativo.

La prova venne negli anni seguenti, da una serie infinita di conflitti di attribuzione tra stato e regioni, che impegnò severamente la Corte Costituzionale a decidere chi avesse ragione.

La parte peggiore e’ costituita dall’autonomia differenziata, per le regioni a statuto ordinario, quindi non riguardante il Friuli V.G. E’ la possibilità di ottenere, previe intese con lo stato, la facoltà di legiferare autonomamente, su una serie di materie, di competenza esclusiva dello stato, o concorrente stato/regione, dove lo stato fissa i principi generali e la regione norma la loro applicazione.

Esse sono, rispettivamente, tre (giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente. ecosistema, beni culturali) e venti (ad es. rapporti internazionali e con UE delle regioni, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica, tecnologica e sostegno all’innovazione produttiva, tutela della salute, protezione civile, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto e navigazione, trasporto e distribuzione dell’energia).

Dopo 17 anni  di relativo sonno, questo congegno a orologeria è stato innescato nel febbraio 2018 dalla richiesta di tre regioni, Veneto, Lombardia, ed Emilia Romagna che il governo Gentiloni, nei suoi ultimi giorni di vita, ha accolto, sottoscrivendo con loro delle preintese. Il testo, a lungo sconosciuto, è stato reso pubblico solo dall’iniziativa di giornalismo d’inchiesta del sito Roarr. Abbiamo così appreso che le tre regioni, a guida leghista e PD, hanno chiesto maggiore autonomia su tutte o quasi tutte le materie.

Da allora, i 3 governi che si sono succeduti hanno tenuto in caldo il progetto, riproponendolo sia per la legge di bilancio 2020 che per quella 2021, con previsione di un disegno di legge in allegato alla finanziaria, per poi eliminare tale la previsione, anche grazie alla pressione allarmata dei Comitati a difesa della Costituzione e contro ogni Autonomia Differenziata, dell’Anpi e altri pezzi di società civile.

Al momento in cui scriviamo, a ridosso dell’approvazione della legge di bilancio 2022, ci risiamo con il disegno di legge in allegato, anche stavolta senza nessuna discussione nel paese, nel Parlamento e con i Comuni. In sostanza i parlamentari voteranno tutto il pacchetto, finanziaria più allegati, con i consueti,  inesistenti spazi di dibattito ed emendamento e voto di fiducia messo in preventivo.  Possiamo augurarci una discussione parlamentare sul previsto disegno di legge, con opportunità di meditare ed evitare questa corsa a regionalizzare ogni cosa. Salvo subire la consueta tagliola del voto di fiducia e la minaccia di non poter ricorrere a un eventuale referendum abrogativo, perché vertendo su allegato alla legge di bilancio, la Corte Costituzionale potrebbe giudicarlo inammissibile.

Questa, in sintesi, la storia. Per quanto concerne il merito, il Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, l’unico a votare contro, nel parlamento di allora, alla riforma del titolo V della Costituzione, purtroppo deve rammaricarsi ancora una volta di trovare conferma della sua condotta parlamentare, a distanza di tempo. Le ragioni erano, e sono, sostanzialmente tre.

Il primo, la pessima scrittura del testo di riforma, che ha reso più confuso e aperto a un regionalismo estremista e anti unitario e alla sete di potere dei presidenti delle giunte regionali, il rapporto tra stato e regioni. Siamo stati facili profeti di tutti gli innumerevoli conflitti di attribuzione.

Il secondo è che ciò è avvenuto su materie inerenti a diritti fondamentali di tutti i cittadini italiani, che, garante costituzionale la Repubblica,  devono trovare uguale soddisfazione, ovunque essi risiedono.

Il terzo motivo, che a distanza di vent’anni costituisce danno ancor  più grave, è la mancanza di un contrappeso effettivo, che veda lo stato centrale riassumere su di se le piene prerogative legislative sulle materie, in presenza di determinate circostanze.

Nel titolo V ciò è previsto come mera possibilità da parte dello stato e nel rispetto di vincoli e della leale collaborazione tra enti territoriali. Illuminante è l’inerzia del governo Conte 2 nell’utilizzare tale strumento, pur in presenza del disastroso protagonismo dei presidenti delle giunte regionali nella fase più acuta della pandemia da covid, a partire dalla mancata previsione delle zone rosse, che ha causato centinaia di vittime.

A tali motivi, di rilievo normativo costituzionale, si aggiunge la constatazione di quanto il peso delle disuguaglianze, territoriali e di classe, già evidenti all’epoca della riforma costituzionale, abbiano spaccato il paese a metà. Non solo tra il nord e le altre aree del paese, sud in particolare, ma anche tra territori contigui.

L’Autonomia Differenziata è la certificazione che i territori più ricchi per prelievo fiscale, continueranno ad avere servizi, trasporti, sanità, scuola e formazione di elevato livello, e quelli più poveri verranno condannati a essere privati, non solo di comparabili livelli, ma di livelli minimi essenziali.

La lotta contro questa epopea delle disuguaglianze, che è una bomba a orologeria per la stessa unità politica del paese, si presenta assai ardua e dovrà impegnarci per diversi anni a venire.

C’è infatti a favore tutto l’arco parlamentare, compresa la cosiddetta opposizione di Fratelli D’Italia, oltre che il mondo industriale e della finanza.

In tutta Italia si stanno battendo contro questa sciagura, i comitati di scopo, a difesa della Costituzione e contro ogni autonomia differenziata, un vasto schieramento di associazioni, il sindacalismo di base, pezzi di sindacato confederale e una pattuglia di una trentina di valorosi parlamentari, quasi tutti appartenenti al gruppo misto, che stanno tentando di far capire al resto del Parlamento cosa è in gioco.

Manca un’ effettiva presa di posizione e mobilitazione delle grandi organizzazioni di massa, quali il sindacato confederale nel suo insieme e l’Anpi nazionale.

(1-continua)


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