Non so se siamo riusciti a comunicare, nelle prime due puntate di questo nostro viaggio nel museo degli orrori dell’Autonomia Differenziata, la preoccupazione e il sentimento di rigetto verso un progetto politico e istituzionale che disintegrerà il nostro essere comunità nazionale nella sua unitarietà e la qualità dell’esistenza di questa comunità, rispetto alla lettera e allo spirito della Costituzione, dove i diritti fondamentali, sanità, istruzione, dignità del lavoro, mobilità, sono ugualmente garantiti a ogni cittadino, indipendentemente dal territorio di residenza.
Pur essendo vero che sotto questo aspetto hanno cercato di abituarci al peggio, un po’ per volta, in questi ultimi trent’anni, dove a dispetto di ben quattro leggi elettorali, fallite clamorosamente nell’obiettivo di assicurare governi stabili, e altrettante riforme costituzionali, tentate o riuscite, a nessuno degli operosi architetti costituzionali del nostro paese è venuto in mente di darsi da fare per attuare la Costituzione, proprio rispetto ai diritti fondamentali, il cui godimento è sempre più diseguale in funzione di dove si vive.
Se passerà l’Autonomia differenziata però, sarà quasi impossibile poter rimediare, e avremo uno stato, che sarà tutto fuorchè unitario, per il numero e l’importanza delle materie su cui sarà possibile per le regioni ordinarie e, in trascinamento, anche per quelle a statuto speciale, fare leggi in totale autonomia.
Quindi una specie di “male assoluto” che dovremmo cercare di respingere con tutte le energie. Quand’ecco che ce ne piomba sulla testa uno più grande, la guerra.
Ciò nonostante dobbiamo tornare alle piccole/grandi cose di casa nostra, visto che ci eravamo ripromessi di chiarire se l’Autonomia Differenziata sia utile al paese dal punto di vista economico, come qualcuno sostiene anche al di fuori dei partiti di governo. Dimentichiamoci, per un momento,di essere anche comunisti, e proviamo a ragionare solo da capitalisti, anche se illuminati.
Alcuni docenti di punta della Bocconi o li formatisi, hanno infatti detto apertamente, che bisogna concentrare i soldi ed investimenti nelle cosiddette aree forti del paese, cioè il nord, anche scontando il fatto che il resto, e il sud in particolare, resti ancora più indietro. Sulla convinzione che il nord è l’area più ricca e sviluppata tecnologicamente, in quanto tale è “la locomotiva del paese”, e mettere più carbone in questa locomotiva porterà vantaggi anche al resto d’Italia, in un processo virtuoso di trascinamento verso lo sviluppo, nel tempo.
Ora è pur vero che le tre regioni, Lombardia Veneto ed Emilia Romagna, che hanno per prime richiesto di accedere “alle ulteriori forme di autonomia” previste dall’art.116 della Costituzione, sono le aree più avanzate sotto diversi punti di vista, prodotto interno, reddito individuale, livello dei servizi essenziali, pur con le macroscopiche cadute evidenziate dal covid. L’Italia è la seconda manifattura d’Europa, in larga misura grazie a questi territori, forti della loro connessione con l’industria tedesca, alla quale forniscono parti e ricambi.
Ma sono in crisi, come pure la Germania, e già da diversi anni. Pur vantando tutt’e tre un reddito individuale superiore alla media europea, l’hanno visto crollare negli ultimi vent’anni del 20%, ed uguale tendenza è prevista nei prossimi anni fino ad arrivare al di sotto della media europea,intorno al 2030. La mancanza di una visione di politica industriale, pubblica e privata, la perdurante deriva del sud, importante mercato di riferimento per le industrie del nord, sotto l’aspetto economico e sociale, hanno prodotto e stanno producendo questo bel risultato.
In realtà il “sistema Italia” è in discesa già a partire dalla metà degli anni ’90, poi per gli effetti della crisi finanziaria e industriale del 2007/08 e infine per quella causata dal covid. Basti considerare che il prodotto interno lordo non ha mai ripreso il livello di prima del 2007 e i salari italiani sono tra i pochissimi, in Europa, a non essere cresciuti. Il confronto con i principali paesi risulta impietoso.
Anziché pensare a una cura da elefante per rimettere in moto il sistema che è in caduta libera, nord, sud, centro, senza distinzione, si pensa a traumatizzarlo ulteriormente accordando benefici economici, fiscali e potere discrezionale ad alcune regioni, di far leggi su una pluralità di materie di interesse economico, sociale, ambientale, ma in prospettiva a tutte. Difficile non pensare male e cioè che i sostenitori dell’Autonomia Differenziata puntino direttamente a smontare lo stato unitario e, mantenendolo formalmente, tenersi il proprio staterello con tutte le sue risorse.
E pensare che non c’è solo una buona politica alternativa, di programmazione economica e industriale, che faccia saltare fuori il paese, tutto insieme, da questa crisi quasi trentennale.
C’è anche l’occasione, che non ha precedenti, dei 209 miliardi che spetterebbero all’Italia, per iniziativa dell’Unione Europea. Certamente con delle condizionalità. Se noi ci siamo spogliati, momentaneamente, della nostra identità comunista, non per questo Von Der Leyen e soci sono diventati socialisti. Ma tra di esse ce ne sono due, che indicano delle priorità: ridurre le disuguaglianze, creando progetti di coesione e investire nell’economia sostenibile sotto il profilo ambientale. Tutto il contrario di ciò che il Governo e le tre regioni richiedenti sembrano intenzionati a fare con l’Autonomia Differenziata.
Evadere da queste priorità non solo sarebbe la condizione per farci permanere in una condizione trentennale di depauperamento, ponendo le premesse di una vera situazione di sottosviluppo dell’Italia rispetto al resto dell’Europa. Non solo porrebbe delle ipoteche sulla fruibilità di questi soldi europei. Aprirebbe la nuova possibilità di un commissariamento dell’Italia, dopo quello paventato con la lettera di Draghi e soci al governo Berlusconi nel 2011.
Ma qui c’è da parlare di un ulteriore scenario, non più da museo degli orrori, ma un’opportunità per il nostro paese, tutto intero. Alla prossima puntata.
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