L’aggressione russa all’Ucraina (aggressione stupidamente spietata, omicida-suicida) e le follie della NATO stanno precipitando il pianeta in una delle crisi più inquietanti di ogni tempo.
La specie umana che, criminalmente, non ha risolto la piaga della fame in vaste aree, che basa il benessere di una minoranza sullo schiavismo e sullo sfruttamento dissennato delle risorse, che ha provocato e vede avvicinarsi una catastrofe climatica senza precedenti, si sta concedendo il lusso di una guerra di distruzione nel cuore dell’Europa, e si è concessa, negli ultimi trent’anni, guerre per il possesso delle terre (in Jugoslavia) e delle materie prime (le guerre endemiche in Congo, Ruanda, etc.), oltre a svariate guerre economiche.
È contro questo scempio che il movimento pacifista dovrebbe alzare la voce e lavorare assiduamente. Esso sembra scomparso dalle scene principali e si esibisce solo in teatrini periferici (ne sappiamo qualcosa qui a Trieste, emarginato dalla supponenza inerte delle grandi organizzazioni politiche e sindacali), però di risultati ne ha ottenuti, negli ultimi anni, come ci ha recentemente ricordato Francesco Vignarca, Coordinatore delle Campagne nella nuova Rete Italiana Pace e Disarmo (1): ad esempio il 7 luglio del 2017 è stato votato dall’assemblea dell’ONU il testo del Trattato TPNW di proibizione delle armi nucleari e il movimento che l’ha proposta, ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear weapons) ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2017.
Questo trattato è stato firmato da 86 Stati e ratificato da 60 (l’Italia, che ospita armi nucleari sul suo territorio, come tutti i Paesi NATO non è tra questi…) (2) Si tratta di una norma internazionale nata dal riconoscimento che le armi nucleari –quelle stesse di cui scelleratamente parlano Putin, Lavrov, Biden e compagnia- rappresentano un rischio umanitario inaccettabile; e si tratta di una vittoria silenziosa del movimento della Pace, grazie a una delle sue organizzazioni. Eppure c’è la sensazione, ampliata dai media, di una marginalità, con relativa demonizzazione: oscena, per “Micromega”, la posizione sulla guerra in Ucraina del presidente dell’ANPI Pagliarulo; osceno e oggetto di caricature il né Putin né NATO (ridicolizzato in un gnè gnè di bambini viziati), che invece è uno schierarsi a fianco delle popolazioni civili; e esecrabile il manifesto della Marcia della Pace Perugia-Assisi (sono i laici e progressisti i più feroci neointerventisti – il linguaggio usato, tra gli altri, da “Micromega” e da “Repubblica” è stato, ed è, molto aggressivo).
C’è il tentativo di gettare fango contro chi prova a ragionare sulla base di un pensiero articolato e non ha paura di sporcarsi le mani con le difficoltà concrete della Storia e della politica, cercando di risolvere in altro modo le controversie internazionali. L’altra faccia di questa demonizzazione è l’elogio spudorato e vitalistico della guerra e del riarmo: un riarmo peraltro già iniziato anni prima di questa guerra (vedi, per l’Italia, la tabella a lato), e che quindi già preparava un conflitto. Il conflitto in corso, in cui anche il nostro Paese è immerso fino al collo.
Questo non vuol dire che non ci siano criticità e nodi nel pacifismo attuale. Da un lato è convincente la lettura proposta da Piero Maestri, Salvatore Cannavò e Luigi Malabarba, soprattutto quando parlano di un movimento pacifista che “rischia di restare muto rispetto ai popoli aggrediti e di esse-re incapace di strutturare relazioni solide e legami internazionali tra una guerra e l’altra. E senza una rete di legami di questa portata la guerra non viene contrastata nell’unico momento in cui può essere fermata: prima che scoppi.”
Impeccabile: si tratta di costruire legami, tra movimenti pacifisti e vittime degli opposti imperialismi; tra queste vittime ci sono anche disertori e disertore della guerra e del capitalismo, e cioè non vittime assolute ma donne e uomini che si battono anche nei loro Paesi contro classi dirigenti feroci e nichiliste. Converge con questa visione quanto sostiene, a proposito del pacifismo occidentale, la femminista e ricercatrice ucraina Oksana Dutchak che parla apertamente di una “pigrizia intellettuale” e di “egoismo ideologico” di una cer-a sinistra occidentale che risponde a crisi inedite con vecchi schemi. In questa sinistra “alcuni vedono l’imperialismo russo come una sorta di controbilanciamento a quello statunitense che, in quanto tale, va supportato. Ma ovviamente dalla mia prospettiva tutto ciò non ha alcun senso. La nostra storia ha molto più a che fare con la minaccia, pure militare, da parte dell’imperialismo russo…” (3)
Si tratta di posizioni su cui riflettere e che non possiamo ignorare con un’alzata di spalle ma studiando meglio, discutendo e continuando ad agire. Mettersi in discussione su questo tema, infine, non impedisce certo di guardare agli orrori prodotti dalla NATO e alla protervia dell’allargamento a est di quest’ultima (4), ma consente di aprirsi all’uso di nuovi strumenti di analisi.
Da un altro punto di vista, occorrerebbe sempre ricordare il cammino compiuto da una certa sinistra –principalmente in ambito femminista e tra le/gli eredi di Alexander Langer- intorno ai temi della guerra, della pace e della nonviolenza. Pensiamo alle riflessioni di Anna Bravo (La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato, un testo del 2013, per Laterza); e di Bruna Bianchi (Nella terra di nessuno. Uomini e donne di nazionalità nemica nella Grande guerra, Editrice Salerno, Roma, 2017, pp. 270). An-che straordinari risultano alcuni lavori collettivi tra i quali occorre segnalare La forza della nonviolenza (Punto rosso, Milano, 2005, pp. 174 – atti del campeggio di Otranto pro-mosso dalla scuola politica del Forum delle donne del PRC, a cura di Imma Barbarossa) e Donne disarmanti. Storie e testimonianze su nonviolenza e femminismo (Intra Moenia, Napoli, 2003, pp. 287, a cura di Monica Lanfranco e Monica G. Di Rienzo). Questi lavori hanno avuto ricadute nel campo del pacifismo portandolo fuori dalle strettoie del campismo e pretendendo dai movimenti una rielaborazione completa del rapporto tra storia e violenza per una cancella-zione di quest’ultima (lo slogan di Lidia Menapace “fuori la guerra dalla storia”) da preparare, appunto, tra le guerre e prima che queste scoppino. Poi, a guerra scoppiata, il meccanismo (e il machismo) inesorabile dei conflitti travolge tutto, e difficilissima è la tregua. Lo vediamo nel conflitto in corso. Importantissimo, inoltre, il pacifismo in pratica di organizzazioni come Emergency e tutta la riflessione sui corpi civili di pace (5). Tutto questo pensiero prodotto e incarnato in rigorose proposte politiche è stato spazzato via, in questi giorni nel nostro Paese, con la violenza di chi l’ha sempre praticata sui giornali, in Parlamento o al Governo e nei consigli d’amministrazione delle industrie degli armamenti. Spazzato via, ma non eliminato.
Il lavoro continua.
NOTE
(1) Vignarca è stato ospite, a distanza, del Coordinamento Trieste contro tutte le guerre che si è riunito in assemblea pubblica presso il bar-libreria Knulp, il 12 maggio 2022.
(2) Il 18 maggio di quest’anno la Commissione Esteri alla Camera si è espressa affinché si attivi in percorsi concreti di disarmo nucleare e di avvicinamento ai contenuti del TPNW. Nella risoluzione si sottolinea come le armi nucleari co-stituiscano ancora oggi una grave minaccia per l’umanità come sia quindi fon-damentale continuare gli sforzi per la loro riduzione con l’obiettivo di una de-finitiva eliminazione (vedi https://www.sapereambiente.it/notizie/disarmo-nucleare-un-passo-avanti-alla-camera/) Questo voto invita il nostro Paese a partecipare, come osservatore, alla Prima Conferenza degli Stati Parti del Trat-tato sulla Proibizione delle armi nucleari, dal 21 al 23 giugno a Vienna. Il no-stro Paese non ha partecipato alla Conferenza. Su questa conferenza, vedi https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/06/30/armi-nucleari-tra-i-paesi-che-le-hanno-bandite-non-ce-litalia-nessun-coraggio/6645521/
(3) https://www.dinamopress.it/news/da-una-prospettiva-femminista-intervista-a-oksana-dutchak/
(4) vedi, per uno sguardo ampio e complesso su tutta questa vicenda l’intervista a Edgar Morin, “Una certa idea della Russia”, in “La Repubblica-Robinson”, 11.06 2022, n. 288.
(5) “Il movimento nonviolento è sempre, di fronte alle tensioni e ai conflitti, un movimento pro-attivo, poiché si mette in moto molto prima (in numeri molto minori, e perciò meno visibili), per prevenire il conflitto armato, per cercare soluzioni nonviolente, oppure, durante la guerra, per interporsi in modo non-violento, per far terminare il conflitto, e mettere gli avversari al tavolo di tratta-tiva, oppure, dopo la guerra, per ristabilire rapporti tra i contendenti…” (Alber-to L’Abate, in una relazione del 2013 sui “Corpi civili di Pace per la Difesa Popolare”, in prefazione al libro di Gianmarco Pisa Forme estetiche negli spazi del conflitto, dalla Jugoslavia al presente, Multimage, Firenze, 2021, pp. 268).