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Lo sconvolgimento provocato dal Covid-19, tra le varie conseguenze, ha generato una situazione paradossale soprattutto nella scuola: l’unico e più urgente rimedio alla sospensione delle lezioni è la didattica a distanza, ovvero la negazione della didattica tradizionale, quella in presenza, quotidiana e articolata su un contatto diretto e su dinamiche che a distanza non possono essere controllate o praticate.

L’emergenza, imponendo la tele-lezione, ha indicato le carenze dei settori vitali della nazione. Il virus ha dimostrato che la scuola è un servizio sociale insostituibile e ha anche confermato che in Italia gli investimenti nell’istruzione (come per la sanità) si sono sempre più ridotti: siamo gli ultimi in Europa per i fondi alla scuola.

Lo provano gli 85 milioni di euro che il governo ha dovuto stanziare per dotare le scuole di piattaforme e strumenti digitali per l’apprendimento a distanza e per formare i docenti per la didattica a distanza (DAD). 

La DAD esige una comunicazione mediata da tecnologie telematiche e digitalizzate, ma i contenuti, invece, rimangono calibrati su una comunicazione immediata e diretta. Quanto accade in questi giorni è di costringere la libertà e l’umanità dell’istruzione nelle piattaforme digitali implementate dalle scuole e imposte come unica soluzione praticabile.

A esempio, nelle scuole si usano Google Suite for Education e Microsoft, piattaforme avanzate. Ma sono anche due colonne dell’impero di GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) sui cui l’antitrust USA sta indagando per  killer acquisition, ovvero per l’acquisizione sospetta di piccole startup. Google e Microsoft, da sole, filtrano, modellano e distribuiscono il 75% dell’informazione mondiale, oltre a memorizzare ogni nostro accesso e movimento nella rete.

Tanto per chiarire le posizioni, la ministra Azzolina dirama circolari con il link al suo profilo Facebook, come fa il primo ministro Conte, e può calcolare gradimento, numero e identità di chi si collega.

Non era un mistero, prima di Covid-19, che siamo tutti controllabili o controllati. Ma dopo le restrizioni sugli spostamenti e il controllo dei cittadini tramite cellulare o drone in tempo reale, appare chiaro che simili misure non furono prese nemmeno all’indomani dell’11 settembre 2001. Il registro elettronico sembra ormai un giochino per ragazzi.

La sorveglianza pervasiva di Google e Facebook è un pericolo senza precedenti per i diritti umani, dicono ad Amnesty International. E noi ci siamo dentro.

Eppure il Miur raccomanda questi protocolli come unica, emergenziale soluzione, in accordo con la Commissione europea che punta a sviluppare un mercato unico digitale che avrà come beneficiari chi offre i propri servizi a costi molto contenuti – con la contropartita dei dati personali – o gratuitamente con la formula del freemium: la piattaforma base è gratuita ma le espansioni sono a pagamento.

Quanto si prospetta è una torsione – forzata e inevitabile? – del sistema educativo che investe docenti, studenti e famiglie, insegnamento e apprendimento, modi e contenuti, per obbligarli a una digitalizzazione della conoscenza che ha tre conseguenze: 1: restringe la libertà (anche) di insegnamento perché avviene attraverso canali che costituiscono un controllo capillare e costante. 2: questi canali sono forniti da potenti multinazionali private sottoposte al mercato dei dati. 3: il rischio di disumanizzazione e distacco che queste pratiche comportano.

Senza contare il dubbio che avvolge tutto a priori: se ci possa essere oppure no una relazione educativa pedagogicamente produttiva senza un rapporto in presenza e la necessaria preparazione.

E senza contare che molti studenti lamentano di essere sovraccaricati di compiti da insegnanti che temono di essere sanzionati della burocrazia ministeriale.

Infatti, in nome dell’emergenza, per ora la DAD provoca una lunga serie di controindicazioni: straniamento, conversione dei docenti in attori e impiegati da terminale, degli studenti in video spettatori per troppe ore, mancanza di socialità, di confronto, di contenimento, di orientamento e un sovraccarico di lavoro e di stress per tutti. Una serie di urgenze: i programmi e l’anno da concludere, la maturità, le direttive vaghe e improvvisate del ministero e le conseguenti raccomandazioni dei presidi, il senso civico e morale che alberga in ognuno. E poi i problemi: i dati personali da trattare secondo le leggi sulla privacy; la revisione dei programmi e degli obiettivi, le nuove modalità di lavoro; il sostegno agli alunni disabili; il supporto per i disturbi specifici dell’apprendimento e i bisogni educativi speciali, la fornitura di adeguati dispositivi. In ultimo l’enorme e problematica esigenza della valutazione a distanza.

Per ora, tutto è lasciato in sospeso in attesa dei decreti che dovrebbero disciplinare una situazione che, si dice, non si verificava dalla fine del secondo conflitto mondiale. Evidentemente la Storia non ha insegnato granché alla politica.

Oppure sì? Rendere curricolare la didattica a distanza rappresenterebbe, oltre al controllo del sapere e delle coscienze, un enorme risparmio economico sugli edifici e sul personale. E poi dicono che il Corona virus, una volta passato, non ci cambierà…

 

Roberto Calogiuri


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