Accade sempre più spesso che i programmi politico economici si facciano talmente macroscopici da rimanere all’esterno del campo visivo. I test Invalsi, l’alternanza scuola-lavoro, il registro elettronico o la riduzione del liceo a quattro anni sono argomenti facilmente focalizzabili. Al contrario, l’autonomia differenziata e le conseguenze che essa avrà sulla scuola – oltre a lavoro, sanità e Costituzione, tanto per citare i pilastri della società civile – sono difficili da valutare. Difficili perché molto ramificate e richiedono conoscenze estese e profonde in discipline trasversali. A ciò va aggiunto il PNRR che ci impegna fino al 2026 in quelli che il MEF definisce assi strategici condivisi a livello europeo.
L’autonomia differenziata comprende (nasconde?) qualcosa che collega non solo gli assi strategici tra loro, ma anche i diversi settori della vita quotidiana e sociale. Il denominatore comune è sempre il medesimo: la privatizzazione di questi settori dovuta a una frammentazione in venti sistemi regionali laddove, invece, il centralismo garantisce uguaglianza e solidarietà secondo i principi della Costituzione. Tutto ciò aprirà la strada all’aziendalizzazione del benessere pubblico – mentale, culturale, economico e fisico – al profitto dei privati e, ancora più grave, alla polverizzazione dei principi di unità e uguaglianza: il tutto spesso giustificato e assolto con l’alibi della razionalizzazione.
Ma fin d’ora si delinea una contraddizione tra autonomia differenziata e PNRR: dove quest’ultimo si vuole contribuirà in modo sostanziale a ridurre i divari territoriali, quelli generazionali e di genere (sebbene la realizzazione sia controversa), l’autonomia differenziata aumenterà i divari territoriali e le diseguaglianze dovute alla diversa natura fisica-economica-storica dei territori regionali: in altre parole distruggerà l’uniformità dei diritti fondamentali, ossia quelli che spettano a tutti in eguale forma e misura a prescindere dalle differenze locali. Incluso il diritto all’istruzione, vale a dire di quel dispositivo che dovrebbe creare unità e omogeneità nella formazione di cittadini civili e democratici secondo linee guida nazionali o, meglio, secondo il comma 2 dell’art.3 della Costituzione: E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Nel momento in cui la scuola diventerà regionale, sarà rafforzato quanto disposto dall’autonomia scolastica fin dal 1997 con la legge Bassanini, vale a dire da quell’insieme di ordinamenti che già prevedono l’autonomia amministrativa, finanziaria e didattica: in altre parole, quanto conosciamo di quell’apparato scolastico che è già entrato nel sistema del marketing con il piano dell’offerta formativa, l’open day, gli slogan e il gioco della concorrenza tra istituti più o meno dotati e più o meno pubblicizzati grazie a dirigenti più o meno intraprendenti e industriosi, quelli che sono stati definiti anche “presidi sceriffo”…
In questo tessuto già autonomizzato, in quest’organizzazione scolastica già messa a dura prova dalla pandemia e da un’endemica mancanza di risorse che vede il tessuto scolastico nazionale sempre più impoverito, l’autonomia differenziata interverrebbe a creare – anche con la articolata realtà scolastica – una leva di potere e di consenso sempre più forte: con il controllo diretto del più potente sistema di sorveglianza e condizionamento della gioventù, del reclutamento e retribuzione del personale, del coinvolgimento on solo emotivo di parenti e genitori. Quando alla scuola si aggiungeranno le altre materie per cui le regioni possono ottenere la potestà legislativa esclusiva – come la giustizia di pace, ambiente, ecosistema e beni culturali – i consigli regionali diventeranno organismi simili alle città-Stato o alle Signorie, ossia istituzioni in cui clientelismi e favoritismi elettorali creerebbero potentati che con la Repubblica avrebbero poco a che vedere.
Non è un caso, dunque, se l’autonomia regionale differenziata sia vista come un toccasana, nelle sue linee essenziali, da un documento condiviso dal CNOS, il Centro Nazionale Opere Salesiane Scuola, presente con 50 istituti privati in 18 regioni. Il documento è redatto da un gruppo di lavoro di cui fa parte una senatrice di Fratelli d’Italia e in cui si afferma che l’autonomia differenziata non contraddice l’unità e l’indivisibilità della repubblica. Semmai è l’opposto.
Rimane da osservare un ultimo particolare: che, in questo momento di profonda crisi, quando siamo chiamati a versare lacrime e sangue per il bene comune, il perno attorno a cui ruota la possibilità di palingenesi virtuosa e di fronte al quale tutti siamo sollecitati a migliorare il nostro contributo alla causa, è la formula magica della resilienza che, nel programma di Mario Draghi, fa binomio con ripresa.
Il sottile gioco del governo si fa più chiaro se consideriamo che “La psicologia positiva subordina persino il dolore a una logica della prestazione. L’ideologia neoliberista della resilienza trasforma le esperienze traumatiche in catalizzatori di un aumento della prestazione.” (Byun-Chul Han).
Roberto Calogiuri