Boris Pahor Trieste Il LAvoratore
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Il 30 maggio scorso è morto nella sua casa di Trieste Boris Pahor, nato, sempre a Trieste, il 26 agosto del 1913.

Più di un secolo di vita, la sua, vissuta come protagonista e testimone del “grande Novecento” in tutte le follie politiche e umane, e le utopie che il secolo scorso ci ha portato, ma anche capace di affacciarsi sul terzo millennio per vederne e giudicarne gli ulteriori sogni e le inedite sciagure. Il grande autore triestino di lingua slovena e autore del capolavoro Necropoli se ne è andato proprio nell’anno in cui il pianeta sta diventando, tra pandemia, guerra e siccità, una città go-vernata dalla morte. Con Necropoli Pahor diventa scrittore universalmente conosciuto. Questo è uno dei grandi libri dell’antifascismo europeo: militante dell’Osvobodilna Fronta (Fronte di Liberazione sloveno), il 21 gennaio 1944 Pahor viene arrestato dai nazisti, sostenuti dai collaborazionisti sloveni (domobranci), per poi essere deportato e passare in diversi lager tra il 26 febbraio del 1944 e l’aprile del 1945. La cosiddetta letteratura dei campi sarebbe meno profonda senza il libro di Pahor.

In un articolo in occasione dei suoi 105 anni (“La statua da vivo di un resistente”, Il Sole 24 ore, 26.08 2015) Pahor si esprime in questo modo: “…Se potessi fare un appello, chiederei al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, un uomo intelligente che rispetto, di invitare i giovani italiani a leggere il saggio che ho scritto sul numero speciale di Micromega, ‘Ora e sempre Resistenza!’, del 2015 in cui par-lo della lotta di liberazione slovena, iniziata prima delle al-tre, nel 1926, quando gli squadristi ci impedivano di parlare la nostra lingua, di associarci, di avere la nostra letteratura, insomma di esprimerci come popolo. Perché il fascismo è sempre in agguato.” Ecco la sua paura, che lo ha accompagnato per tutta la vita, la paura che l’orrore nazifascista possa tornare a farsi prepotentemente minaccioso: i segnali che egli vedeva, oggi ancora più evidenti, non potevano che far-lo, e farci, rabbrividire. Proprio per questo egli continuò a scrivere, a incontrare scolaresche, a moltiplicare le possibili-tà di un dialogo per poter convincere o allertare fosse anche una sola persona, con un ruolo politico e civile riconosciuto da tutte le cittadine e i cittadini, e dalle autorità più oneste, in Italia e in Slovenia.

Questo orrore radicale nei confronti del fascismo non gli impedì peraltro di essere critico nei confronti di alcuni passaggi della storia del socialismo jugoslavo. In questo ambito si inserisce la polemica che lo unì e poi oppose a Edvard Kocbek, intellettuale cattolico (cristiano-sociale) rigorosamente antifascista e schierato con Tito, pur se denunciava la sorte riservata in Jugoslavia, dopo il 1945, a croati, sloveni e serbi anticomunisti.

Ora, in questo breve ricordo non sarà possibile ripercorre-re tutta la vita –e anche le contraddizioni, che fortunatamente ci sono…- di Boris Pahor: peraltro già abbiamo detto molto, ma in modo troppo sintetico e che avrebbe meritato una diversa articolazione.

Ci sarà occasione di tornare su questo grande scrittore e sui temi da lui sollevati: la difesa non nazionalistica delle comunità e dei piccoli popoli; la lotta al fascismo; la libertà e la democrazia come valori universali e non negoziabili; la forza delle istanze etiche contro ogni autonomia della politica; la forza delle lettere, di una “repubblica delle lettere” capace di accompagnare e indirizzare i destini delle nazioni; la forza della parola contro ogni sopraffazione; e infine la de-nuncia del rapporto non maturo tra le comunità, in particola-re in una Trieste italiana che credeva “che gli sloveni fosse-ro contadinelli puzzolenti di letame, le ragazze slovene una riserva di domestiche (…), nonostante a Trieste fossero atte-state ben altre attività…” (in un testo riportato da Dunja Nanut, vedi bibliografia.) Ora piangiamo, ma anche leviamo alto il bicchiere della riconoscenza per un uomo il cui insegnamento e la cui rettitudine si riveleranno sempre più indispensabili in un mondo ulteriormente fragilizzato dagli scossoni di questi ultimi anni.

La Redazione de Il Lavoratore

[Boris Pahor -Foto Wikimedia Commons]


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